Fecondazione assistita: sì alla selezione degli embrioni. Gigli: «avanza cultura dello scarto»

(ed. Dicembre 2015 “La Voce della Vita”)

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 229/2015 torna a giudicare la L.40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita (PMA). È stato dichiarato incostituzionale l’art. 13, comma 3, lett. B della suddetta legge nella parte in cui vietava la condotta selettiva del sanitario volta esclusivamente ad evitare il trasferimento nell’utero della donna di embrioni che, dalla diagnosi preimpianto, siano risultati affetti da malattie genetiche trasmissibili accertate dalle strutture pubbliche. In altre parole, con tale declaratoria di incostituzionalità la Consulta ha eliminato il divieto di selezione degli embrioni cancellando la relativa sanzione penale originariamente prevista. Questa decisione apre, seppur indirettamente, a una forma di eugenetica indiretta, una pratica disumana oltre che completamente ingiusta e antigiuridica.

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Forte e immediata è stata la reazione del Presidente del Movimento per la Vita, Gian Luigi Gigli, che in una nota ufficiale dichiara: «la “cultura dello scarto” compie un altro passo avanti in Italia. Inserendo definitivamente i principi dell’eugenetica nell’ordinamento italiano, sarà dunque possibile eliminare gli embrioni portatori di malattie genetiche. L’embrione – sottolinea – è ormai ridotto a un bene di consumo, da usare e gettare se difettoso. Il prossimo passo sarà la produzione di esseri umani allo stadio embrionale per la riparazione di soggetti adulti malati, non identificati sufficientemente in tempo per non farli nascere. A prevalere sono ancora una volta logiche di discriminazione a vantaggio del più forte lungo un pendio scivoloso per la tenuta stessa delle istituzioni democratiche».

IL CASO. – Il Tribunale di Napoli nell’aprile del 2014 ha sollevato il vizio di legittimità costituzionale nel procedimento penale in cui erano parti alcuni medici che avevano creato embrioni per finalità diverse da quelle previste dalla legge. Il Giudice ha proposto alla Consulta due questioni: la prima attinente all’art. 13, commi 3, lett. b, e 4, la seconda riguardo all’art. 14, commi 1 e 6 della L.40/2004.

Per quanto riguarda la prima questione, secondo il giudice a quo le norme impugnate, che sanzionavano penalmente ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni, senza escludere il caso in cui la condotta del medico sia finalizzata ad evitare l’impianto di embrioni affetti da malattie genetiche, erano in contrasto con gli articolo 2, 3, 32, 117 della Costituzione Italiana. La Consulta ha dichiarato fondata la questione di legittimità costituzionale e si è espressa in merito.

La seconda questione, invece, è stata dichiarata infondata eliminando ogni dubbio sul divieto di soppressioni di embrioni frutto della fecondazione assistita.

La sentenza del Giudice delle leggi può essere definita storica sotto due distinti profili: il primo attiene all’introduzione nell’ordinamento italiano di una forma indiretta di eugenetica, il secondo riguarda una importante presa di posizione riguardo allo statuto dell’embrione umano e della sua qualificazione dal punto di vista legislativo.

LA DERIVA EUGENETICA. – L’eugenetica (dal greco eu, “bene, buono” e genos, “stirpe, razza” quindi “di buona razza”), detta anche eugenica, è una disciplina che ha come obiettivo quello di migliorare la razza umana nobilitandone le qualità innate scartando tutte le possibilità genetiche che ne possono arrecare danno. Quanto appena detto non si discosta molto dallo scenario descritto nella sentenza n. 229/2015 della Corte Costituzionale: la scelta di impiantare embrioni sani piuttosto che quelli malati risponde a una logica disumana dove esistono vite di seria A geneticamente perfette e vite di serie B non meritevoli di essere vissute. Spiace costatare che comunque la prassi dei centri italiani che pongono in essere la fecondazione medicalmente assistita già da tempo operava questa accurata selezione.

Da un punto di vista più strettamente giuridico, da quanto emerge dal testo della sentenza, si iniziano a creare indirettamente i presupposti per un diritto al figlio sano, con il relativo problema di indicare i limiti entro cui un individuo può dirsi sano o meno. Anche il lettore non esperto di diritto rileva facilmente come tale identificazione può aprire scenari molto discriminatori: ciò che è ritenuto un problema da una coppia di genitori può non esserlo per altri e viceversa. La decisione della Corte Costituzionale non è del tutto nuova sotto il profilo giuridico: infatti, già nel 2012, nella Sentenza del caso Costa e Pavan contro Italia, la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva affermato che il diritto al rispetto della vita privata e familiare, disciplinato all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, includesse il desiderio della coppia di generare un figlio non affetto da malattie genetiche.

Insomma, se i presupposti della decisione della Consulta muovevano dalla tutela del diritto alla salute della coppia generatrice alla fine si è andato a comprimere ancora una volta il diritto alla vita del concepito.

L’EMBRIONE: UNO DI NOI. – Per quanto nilssonfamousriguarda la dichiarazione di infondatezza della seconda questione di legittimità costituzionale, la Consulta, oltre a ribadire il divieto di soppressione degli embrioni, precisa alcuni principi attinenti allo statuto giuridico dell’embrione umano che gettano un seme di speranza quanto alla tutela dello stesso.

«L’embrione […] non è certamente riconducibile a mero materiale biologico». Quanto riportato dalla Consulta non è una semplice constatazione scientifica, bensì è un riconoscimento – seppur molto timido – della soggettività dell’embrione. Va ricordato che uno dei fini principali della L.40, contenuto non a caso nell’art. 1, è la tutela dei diritti di tutti i soggetti coinvolti nelle pratiche di fecondazione medicalmente assistita, compreso il concepito. In tal senso, deve ricordarsi quanto affermato dalla stessa Corte Costituzionale in una non lontana sentenza del 1975, la n. 27, in cui venne ribadito il fondamento costituzionale della tutela del concepito al quale sono riconosciuti i diritti inviolabili dell’uomo.

Proprio la sentenza 27/1975 segnò profondamente la giurisprudenza costituzionale in materia: in quell’occasione venne sancito un principio inappellabile secondo cui in un’eventuale collisione tra diritti di rango costituzionale quelli del concepito potevano essere compressi perché «persona deve ancora diventare».

Quanto deciso nel 1975 torna attuale: infatti, proprio in virtù di questo principio, nella sentenza 229/2015 viene concesso un «affievolimento» dei diritti dell’embrione che, però, non giustifica in alcun modo la sua soppressione, ma soltanto la crioconservazione.

LA CRITICA. – Sebbene la sentenza della Consulta sia inappellabile e deve essere rispettata sotto il profilo della legalità sostanziale, sono necessarie due brevi considerazioni.

In primo luogo, la Corte ha sempre lasciato un margine di manovra al legislatore nell’applicazione dei principi da essa enunciati. È auspicabile che quanto sarà deciso in futuro tenga conto dell’interesse del nascituro, il soggetto più debole; e che qualora si presentino contrasti tra i diritti dell’embrione e quelli dell’adulto ogni scelta sia orientata verso una considerazione preminente dei primi: una soluzione perfettamente in linea con l’art. 3 della Convenzione ONU sui diritti del bambino, resa esecutiva in Italia dal 1991 con la l. n.176.

In secondo luogo, non sono le condizioni di vita a qualificare l’essere umano ma la sua stessa ontologia, il suo essere unico e irripetibile: per questo è da rifiutare con forza e coraggio ogni azione eugenetica. In tal senso, vale la pena ricordare un parere del Comitato Nazionale di Bioetica pubblicato nel 2003 in cui viene ribadito che «gli embrioni umani sono vite a pieno titolo» e che «esiste quindi il dovere morale di sempre rispettarli e sempre proteggerli nel loro diritto alla vita, indipendentemente dalle modalità con cui siano stati procreati e indipendentemente dal fatto che alcuni di essi possano essere qualificati – con un’espressione discutibile, perché priva di valenza ontologica – soprannumerari».

Insomma, è veramente “uno di noi”.

Massimo Magliocchetti

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