Verso una nuova legge sull’aborto in Cile

Articolo pubblicato su “La Voce della Vita” Ed. Maggio 2016

Il Paese sudamericano ha avviato il procedimento per l’approvazione di una nuova legge sull’interruzione volontaria di gravidanza. Dopo l’approvazione della Camera si attende ora il Senato

La nuova legge – La Camera dei deputati cilena ha approvato il disegno di legge che permette alla donna di interrompere la gravidanza nei casi di stupro, pericolo per la vita della madre o di bambino senza segni vitali. A prima vista può sembrare una norma restrittiva. In realtà, si sta facendo strada in un Paese in cui l’aborto è totalmente illegale. Con 66 voti a favore e 44 contrari ora la palla passa al Senato.

L’iniziativa legislativa è stata del Governo socialista presieduto da Michelle Bachelet, ex pediatra, che ha lavorato più di un anno per ottenere il consenso del partito cristiano democratico. Secondo i sondaggi, circa il 70% della popolazione approverebbe la nuova legge. Voci contrarie si sono levate dai partiti d’opposizione come l’Unione democratica, la cui leader Claudia Nogueira ha dichiarato: «Questo è un impedimento alla protezione del bambino in gravidanza».

Il Cile, con la popolazione a grande maggioranza cattolica, ha permesso l’aborto fino al 1989. In quell’anno, il Governo dittatoriale del Generale Augusto Pinochet lo rese illegale senza condizioni, e così è rimasto fino ai giorni nostri. La Costituzione all’articolo 19 così cita: «La legge protegge la vita di chi deve nascere». Secondo il Codice penale cileno, la donna che cerca o riesce ad interrompere la gravidanza è punita con la reclusione da tre a cinque anni. La persona che ha eseguito l’aborto rischia da 541 giorni a tre anni. Si stima che siano state portate a termine circa 160.000 aborti in clandestinità. Dalla caduta del regime militare, 15 disegni di legge per reintrodurre l’aborto sono stati presentati tra Camera e Senato. Nessuno è mai arrivato all’approvazione definitiva.

In America Latina e Centrale El Salvador, Repubblica Domenicana, Haiti, Honduras, Nicaragua, e Suriname mantengono il bando totale dell’interruzione di gravidanza. Cuba, Guyana, Puerto Rico e Uruguay la permettono in altri casi oltre lo stupro, incesto e pericolo per la salute della madre. In Messico, solo la capitale ha legalizzato l’aborto entro le 12 settimane.

Prima crepa nel muro? – Il Cile è stato più volte criticato aspramente dalle Nazioni Unite e da organizzazioni non governative come Amnesty International per la totale penalizzazione dell’aborto. Il nuovo disegno di legge sembra concedere “diritti” alle donne o, usando le parole dell’esponente del Partito comunista cileno, Karol Cariola: «…la volontà politica di permettere alle donne di prendere le loro decisioni».

Il fatto che l’illegalità dell’interruzione volontaria di gravidanza provenga da una norma approvata dalla giunta militare di Pinochet non ne aiuta la popolarità. Anzi la rende ancora di più un bersaglio perfetto. Cosa c’è di meglio che porsi come distruttori di una legge restrittiva e di provenienza dittatoriale? Dietro il combattere i resti del regime può nascondersi il grimaldello per aprire il primo spiraglio nel muro anti-aborto, per permetterne poi un allargamento che diventi una falla. Con il giusto numero di falle un muro crolla. Ovviamente, non potevano mancare le accuse alla Chiesa cattolica locale, “colpevole” di aver fatto forti pressioni affinché la legge rimanesse immutata.

Certo, c’è da considerare il caso del pericolo per la salute della madre. Comprensibile, ma solo se previsto con tutte le dovute precauzioni, per evitarne un’interpretazione estensiva. Bisognerà attendere il voto del Senato per poter compiere un’analisi più chiara della situazione. In caso di approvazione in via definitiva resta da vedere come la nuova legge si rapporterà con l’articolo 19 della Costituzione, il quale, per essere modificato, necessita dell’approvazione di entrambi i rami del Parlamento con una maggioranza qualificata del due terzi.

Emiliano Battisti

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